Breve storia dell' Esperanto

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Probabilmente lo studente ginnasiale Ludovico Lazaro Zamenhof non pensava, quando ebbe la prima idea di creare una lingua comune, che ancor oggi, dopo oltre un secolo, essa sarebbe stata diffusa e praticata in tutto il mondo.

 

Zamenhof era nato nel 1859 a Bialistok, città della Lituania. Quella regione, nel Medio Evo, era stata invasa da Teutonici, Polacchi, Russi ed Ebrei, che vi avevano portato commerci, mano d’opera e religioni. Nelle città e nei castelli si cominciò a parlare polacco, mentre tedeschi ed ebrei abitavano nei loro quartieri parlando la propria lingua. Fino al 19° secolo in questa regione regnava lo Zar, imponendo il russo come lingua ufficiale.

Mentre nell’Europa occidentale avvenivano le prime unificazioni nazionali, in Lituania quattro etnie diverse, con differenti credenze e lingue, abitavano nelle stesse città fra diffidenze, sospetti, odio e vendette. Bialistok era una di queste.

Il padre di Zamenhof, pedagogo di origine ebraica, sposato con Rosalia Sofer, vi aveva fondato una scuola. Ludovico era il primogenito di otto figli, cinque maschi e tre femmine. Pur sfiorando la povertà, i coniugi Zamenhof avevano dato ai figli un’ottima educazione. Il padre era saggio e severo; la madre era dolce, umile e affettuosa, e aveva fatto di Ludovico un idealista, insegnandogli che gli uomini sono tutti uguali davanti a Dio.

Il giovane Ludovico vedeva spesso nella sua città ebrei vilipesi e derisi da ragazzi e soldati russi, assisteva a diverbi tra venditori e passanti perché parlavano lingue diverse, polacchi arrestati perché intervenivano nelle contese e nasceva in lui il proponimento di creare una lingua comune, per permettere a tutti i suoi concittadini di comprendersi

La famiglia si era già trasferita a Varsavia quando Ludovico iniziò gli studi classici, e dai libri di storia egli apprendeva che anche fra stato e stato regnava lo stesso odio. I più potenti guidavano l’opinione pubblica contro gli uni o gli altri, secondo gli interessi politici del momento, con conseguenti guerre, distruzioni e morte. Poi, tornata la pace, si creavano nuove alleanze, fino alla prossima guerra. Ludovico pensava che nel Rinascimento le persone colte, di lingue diverse, si intendevano per mezzo di una stessa lingua: il latino. Anche le persone meno colte avrebbero dovuto usare una stessa lingua, ma più facile, più nuova, più viva.

Tutti i popoli europei conoscevano gli elementi dei vocaboli latini e germanici, e perciò da questi si potevano attingere le radici fondamentali. Una scritta “svejcarskaja” (portineria) e un’insegna “konditorskaja” (pasticceria) gli suggerirono l’idea che un suffisso “skaja” dava la possibilità di formare da un vocabolo più parole senza studiarne altre.

Già al ginnasio egli conosceva il francese, il tedesco e l’inglese e aveva notato che quest’ultima lingua, sebbene di pronuncia difficile, aveva poca grammatica: sarebbe stato sufficiente studiare un sistema di suffissi e prefissi in diverse lingue per formare i tempi e i modi dei verbi e la declinazione di sostantivi, aggettivi e avverbi.

A 19 anni, durante l’ultimo anno di liceo, aiutato da alcuni compagni di scuola, aveva già abbozzato la lingua, festeggiandone con loro la nascita. Finito, però, il liceo, i compagni si divisero, seguendo ognuno la propria strada, e Ludovico rimase solo col suo progetto. Anche il padre, che fino ad allora l’aveva lasciato fare, ritenendo che si trattasse di un passatempo da ragazzi, ora si opponeva, temendo che questa “distrazione” avrebbe ostacolato gli studi di medicina che il figlio stava per intraprendere.

Ludovico nascose i suoi appunti e partì per Mosca, dove rimase fino al 1881. Quando tornò a casa volle riprendere il suo progetto, ma i suoi quaderni erano scomparsi. Egli però non si arrese: li riscrisse, riportandoli a memoria, perfezionando lo stile, traducendo, componendo opere originali, modificando, correggendo, escludendo inutili suffissi, sostituendo radici con altre più armoniose. Un po’ alla volta la lingua acquistava vita, come accadeva per le lingue naturali.

Nel frattempo aveva conosciuto Klara Zilbernik, figlia di un commerciante di Kovno, che condivideva l’ideale del futuro genero, tanto che fece pubblicare a sue spese un libretto in lingua russa, seguito poi da edizioni in polacco, francese, tedesco e inglese. Esso conteneva le traduzioni del “Padre Nostro”, di brani della Bibbia, di poesie famose, una grammatica completa di 16 regole e un vocabolario bilingue di 900 radici.

Ludovico sottoscrisse l’opera con lo pseudonimo: “Doktoro Esperanto” (il dottore che spera). Era il 1887; nello stesso anno Ludovico si sposò e prese alloggio a Varsavia. Da diverse nazioni incominciò a ricevere proposte, domande, consigli e approvazioni, alcune già scritte nella nuova lingua.

Nel 1889 si poté fare un primo elenco di mille nomi e indirizzi di sostenitori da diversi paesi e la lingua assunse il nome ufficiale di Esperanto. Vi aderirono personaggi famosi come Leopold e Albert Einstein e Lev N.Tolstoj. Zamenhof pubblicò la prima rivista “La Esperantisto”. Un’altra, “Lingvo Internacia”, apparve anche in Svezia ad opera del club esperantista di Upsala.

Da allora il movimento progredì rapidamente, tanto che nel 1905 fu necessario convocare un congresso internazionale a Boulogne-sur-Mer (Francia) dove, per la prima volta, uomini di nazioni e lingue diverse poterono conversare comprendendosi perfettamente. Si discusse anche sul modo più idoneo per rendere ufficiale la lingua e si costituì il “Lingva Komitato” (comitato linguistico).

A questo congresso ne seguirono tanti altri, con scadenza annuale, ogni volta in nazioni diverse e, attualmente, in continenti diversi.

Nel 1906 Zamenhof pubblicò un’opera, “Homaranismo”, edita anonimamente, in cui esponeva un suo progetto: la lingua esperanto sarebbe diventata strumento di pace per gli uomini, perché con la sua forza avrebbe abbattuto confini e barriere linguistiche, avrebbe posto fine ai soprusi di governi oppressori e l’umanità intera sarebbe diventata una grande famiglia.

Il progetto piacque in Europa orientale ma non in Occidente, dove, in quel tempo, spirava un forte vento sciovinista che ostacolava l’idea di affratellamento dei popoli.

Il marchese de Beaufront, primo propagandista in Francia, addirittura mise in ridicolo l’idea di Zamenhof, definendola un danno per il successo dell’Esperanto. Influenzati da lui, alcuni sostenitori sollecitarono Zamenhof a desistere dal progetto e curarsi solo della lingua in quanto tale, arricchendone grammatica, sintassi e aggiungendo nuove radici. Zamenhof ritenne opportuno avere, in merito a ciò, il parere degli esperantisti, che fu negativo.

Egli rigettò, allora, la proposta di de Beaufront, pubblicando la “Deklaracio pri Esperanto” (Dichiarazione sull’Esperanto), con la quale sanciva l’intoccabilità del “Fundamento”, in cui erano stabilite le basi della lingua. Il marchese presentò allora un suo progetto, “l’Ido”, che dettava cambiamenti di desinenze, vocaboli e grammatica; proibì a tutti, in Francia, di agire senza il suo consenso nonché di pubblicare opere, anche quelle dello stesso Zamenhof, non sottoposte alla sua censura. Alcuni linguisti lo appoggiarono, ma pochi, e l’Ido ebbe così vita breve. Gli altri, la maggior parte, si affiancarono a Zamenhof.

Nel 1908, al congresso di Dresda, furono fondate l’U.E.A. (Associazione esperantista universale), alla quale venne dato anche uno statuto, e l’Akademio de Esperanto (Accademia di Esperanto), con il compito di valutare le richieste linguistiche, aggiornare vocabolari e termini tecnici, revisionare le nuove opere, difendere l’Esperanto dalla concorrenza di altri sistemi e risolvere le controversie sulla base del “Fundamento”.

Frattanto lo stato di salute di Zamenhof cominciava a creare seri problemi. Al congresso di Cracovia, nel 1912, il suo discorso fu il “canto del cigno”, e a Berna, nel 1913, egli non prese nemmeno la parola e si sedette fra i congressisti. Nel 1914, mentre si recava a Parigi per il 10° congresso, Zamenhof fu fermato a Colonia dallo scoppio della 1° guerra mondiale e dovette ritornare in patria.

Tutte le sedi esperantiste vennero chiuse, tranne quella dell’U.E.A. in Svizzera. Zamenhof morì a Varsavia nel 1917 prima della fine del conflitto; ma non morì il movimento.

Mentre nel periodo prebellico quasi tutti gli scrittori si limitavano a tradurre testi di autori famosi, nel dopoguerra apparvero opere originali, principalmente per merito della “Scuola di Budapest”.

Grandissima importanza ebbe la pubblicazione della “Plena Analiza Gramatiko” (grammatica analitica completa) pubblicata dall’UEA.

Nel 1921, al congresso di Praga, il francese Lanti fondò la S.A.T. (Sennacieca Asocio Tutmonda – associazione mondiale anazionalista) che riteneva l’Esperanto un rimedio per la lotta di classe. La S.A.T. pubblicò il P.V. de Esperanto (plena vortaro- vocabolario completo di esperanto) e il P.I.V. (Plena ilustrita vortaro – Vocabolario completo illustrato).

Con l’avvento della seconda guerra mondiale la S.A.T. venne messa al bando in diversi stati e vennero nuovamente chiuse le sedi esperantiste e vietate le riunioni nei paesi belligeranti.

Nelle nazioni neutrali, invece, l’opera degli esperantisti continuò con maggior lena ed entusiasmo.

Nel 1948 l’U.E.A. e l’Akademio tornarono ad operare, fissando la loro sede definitiva a Rotterdam (Olanda).

Rinacque la scuola di Budapest, e ad essa se ne aggiunsero altre, in Scozia, Cecoslovacchia, Brasile, Jugoslavia, Bulgaria e Danimarca. Esse però non causarono divisioni, ma furono una soluzione di comodo per superare i confini, acquistare carattere sovranazionale e dimensione mondiale. Cessò l’attività del Lingva Komitato e ne assunse i compiti l’Akademio.

Nel 1954, durante la conferenza generale dell’U.N.E.S.C.O. a Montevideo, fu emanata una risoluzione con la quale si accettava l’U.E.A. fra le organizzazioni non governative come membro consultivo. Ne fu promotore Ivo Lapenna, docente di diritto internazionale all’università di Zagabria e collaboratore all’università di Londra. Allo scopo fu creato un centro di esplorazione e documentazione presso l’U.N.E.S.C.O. e tutto il materiale prodotto fu raccolto da Lapenna in due libri: “Esperanto en perspektivo” (l’Esperanto in prospettiva) e “Retoriko” (Retorica).

Attualmente l’organizzazione del movimento esperantista è divisa in vari settori. L’U.E.A. è a capo delle associazioni nazionali, presenti in quasi tutti gli stati: in Italia la F.E.I. (Federazione esperantista italiana) con sede a Milano. Da ogni associazione nazionale dipendono associazioni e gruppi provinciali. L’Akademio è a capo degli Istituti di Esperanto di ogni nazione: in Italia l’I.I.E. (Istituto Italiano di Esperanto) che presiede le cattedre provinciali, provvede inoltre alla nomina delle commissioni d’esame, all’emissione dei diplomi, al controllo delle cattedre e delle attività degli insegnanti. I membri dell’Istituto sono tutti abilitati all’insegnamento della lingua.

Parallelamente e in collaborazione con l’U.E.A. promuovono congressi universali e nazionali le associazioni di settore (fakaj asocioj): medici, scienziati, lavoratori (S.A.T.), ferrovieri, post-telegrafonici, cristiani, cattolici, ciechi ecc.

Un particolare settore: la T.E.J.O. (Tutmonda Esperanta Junulara Organizo – organizzazione mondiale esperantista giovanile) raccoglie i giovani esperantisti di tutto il mondo promuovendo convegni e festivals allo scopo di favorire scambi culturali in campo teatrale, musicale, sportivo, turistico ecc

In ogni convegno, sia di gruppo, nazionale o mondiale, si ricorda l’ideatore della lingua, Ludovico Lazaro Zamenhof, “il dottore che spera”, colui che ha creduto fermamente nella solidarietà e fratellanza umana. Con tale convinzione egli ha affidato alla lingua da lui creata, il compito di realizzare il suo bellissimo sogno: ridare ad ogni uomo, a qualsiasi razza, nazione, religione o estrazione sociale egli appartenga, il giusto valore e la dignità che la Natura gli ha assegnato.

( Norma Cescotti Covelli )