ESPERANTO - La lingua che non c'era..

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L'esperanto nasce come lingua internazionale 125 anni fa. L'esperanto si propone come lingua ausiliaria da affiancare alle varie lingue nazionali, nel rispetto della diversità delle culture e delle lingue di tutti i popoli e non vuole sostituirsi a quelle nazionali.

 

Inno           Bandiera

 

Viviamo in clima di globalizzazione o mondializzazione e ciò riguarda anche la comunicazione linguistica. In questo campo gli effetti della globalizzazione sono molto evidenti: stiamo assistendo al progressivo arretramento delle altre lingue e all’avanzata di una sola, considerata più adeguata ai compiti posti dalla globalizzazione. Una delle ragioni per cui molti ritengono l’inglese la lingua più idonea ad essere parlata da tutti, trova una spiegazione nel fatto che essa è parlata da quella parte del mondo che è la punta avanzata dell’economia capitalistica mondiale. In questa fase storica, caratterizzata da processi di unificazione e di interdipendenza, il problema della comunicazione, ovvero della trasmissione delle idee e del pensiero tra esseri umani, si pone in modo urgente e prioritario.
Proclamare una lingua naturale “universale” sottintende che le altre non lo sono, che essa è superiore alle altre e che quindi anche chi la parla è superiore ai parlanti delle altre lingue. L’inglese è oggi quello che fu il russo prima del 1990 nelle repubbliche annesse all’Unione Sovietica e nei paesi satelliti. La mancanza di una politica linguistica permise l’acquisizione di un gran numero di vocaboli russi, soprattutto in campo tecnico-scientifico, producendo l’autoisolamento delle lingue locali in favore del russo.
Il sociolinguista Louis Jean Calvet associò questo cosiddetto “imperialismo linguistico” a quanto avviene oggi nell’Europa occidentale per quanto riguarda la lingua inglese.

Nei Paesi europei, i mezzi di comunicazione di massa, immettono centinaia di vocaboli anglo-americani in sostituzione di quelli locali. Avviene così anche per l’italiano; la pubblicità è senz’altro l’esempio più eclatante: modernità, alta tecnologia, libertà, ricchezza, successo, sport ed altro ancora sono espressi nella maggior parte dei casi con termini anglo-americani.

Tutto ciò crea nella popolazione un riflesso di Pavlov il quale favorisce l’accettazione della superiorità anglosassone e quindi dello studio della lingua inglese.

Ivan Petrovic Pavlov (1849-1936) premio Nobel per la medicina nel 1904 per le sue ricerche sull’attività secretiva dello stomaco, condusse studi particolari sull’apparato digerente e sui riflessi condizionati.
Rémi Kauffer, professore presso la scuola di politologia “Sciences Po” di Parigi, scrive nel suo libro “L’arma della disinformazione-le guerre delle compagnie internazionali contro l’Europa”:

“imponendo i propri concetti, o propri vocaboli, le proprie visioni del mondo, gli Stati Uniti tentano di incatenare i propri rivali ad un modo di pensare creato per loro, in modo da imprigionarli ed impedire loro di uscirne. Imporre il proprio bagaglio etimologico significa vincere la prima battaglia. Grazie a questa costante intrusione l’influenza angloamericana si può diffondere. A partire dall’élite di governo, dagli ambienti economici, fino agli eserciti “avanzati” della media borghesia, penetrando nelle classi popolari. Una battaglia di parole, una battaglia di immagini. Per il fatto che l’americanizzazione dei termini e delle idee coesistono con l’americanizzazione dei consumi, questo fenomeno diventa uno dei mezzi di sostegno più efficace per l’intrusione delle ditte americane nei mercati in evoluzione.”
Chi possiede i vocaboli e la lingua possiede il pensiero, chi possiede il pensiero altrui possiede tutto il resto.
Se ne desume che soltanto una lingua “anazionale”, ovvero una “lingua-ponte” o “lingua-interprete” può servire a tutti i popoli per capirsi fra loro su un piano di parità e di dignità, rispettando il diritto di ciascuno di pensare, lavorare, vivere secondo le proprie culture e la propria lingua.

Una lingua anazionale non deve sostituirsi alla lingua “nazionale”, ma diventare una seconda lingua importantissima agli effetti delle relazioni internazionali. Oggi la sola lingua che possiede tali requisiti è l’esperanto.

L’esperanto è nato in un’ottica che non poteva essere quella della globalizzazione attuale.

Nei decenni a cavallo dei secoli XIX e XX il clima culturale era permeato di grande ottimismo riguardo al futuro dell’umanità, il progetto di una lingua comune a tutti gli uomini era vissuta come una possibilità in più per il progredire dell’umanità.

Gli oppositori dell’esperanto mettono in dubbio l’attualità di quell’idea. Non riconosco all’esperanto il ruolo e la dignità propri delle lingue “naturali”, non considerando che la funzione utilissima seppur modesta, di questa lingua non è quella di sostituirsi alle altre, bensì di permettere che tra persone che non parlano la stessa lingua si possa instaurare un rapporto soddisfacente e paritetico.

Capire e farsi capire educa l’individuo all’uguaglianza, al rispetto e alla dignità di ciascuno.
  

L'idea di costruire lingue artificiali risale ad alcuni secoli fa.

L’esperanto nel mondo


Da oltre un secolo l’esperanto fa discutere. Churchill dichiarò che l’esperanto poteva essere la lingua di una nuova società umana non più divisa da frontiere. Si dice che Leo Tolstoj lo abbia imparato in quattro ore.

Al contempo Hitler sosteneva che l’esperanto poteva essere usato dagli ebrei per facilitare il loro dominio; anche Stalin fu un agguerrito nemico dei cultori dell’esperanto e Saddam Hussein ordinò l’espulsione dell’unico insegnante di esperanto in Iraq.

Dal 1962-63 l’esperanto risulta insegnato in circa 600 scuole di 32 nazioni. E’ oggetto di studio in alcune università (Brasile, Cina, Francia, Italia, Polonia, Spagna, Stati Uniti, Ungheria).

In Italia si tengono corsi fuori orario in alcune scuole secondarie e l’esperanto risulta al quarto posto, per numero di allievi, tra otto lingue estere insegnate nelle scuole elementari; dal 1964 il suo insegnamento forma oggetto di varie proposte di legge, ma gli ostacoli alla sua diffusione sono psicologici ed economici.

Molte radioemittenti, tra cui Roma, Berna, Varsavia, Barcellona, Vaticano, Zagabria, Pechino, nelle trasmissioni dirette all’estero, usano l’esperanto.

 

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